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Libro del mese – aprile 2021 – L’orto alimento dell’anima e del corpo. Dall’hortus monasticus agli orti urbani

15 Aprile 2021

Con “L’orto alimento dell’anima e del corpo. Dall’hortus monasticus agli orti urbani”, Pacini Editore inaugura la collana “Urbes Rura. Forme, processi, mobilità urbano rurali nell’Europa mediterranea”, nata dal progetto multidisciplinare “Migrazioni & Mediterraneo. L’Osservatorio Sardegna” dell’Istituto di Storia dell’Europa mediterranea del CNR in collaborazione con il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf).

Curatrici del volume sono Alessandra Cioppi, ricercatrice di Storia medievale e Scienze Storiche, e Maria Elena Seu, assegnista di ricerca, entrambe dell’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea (ISEM) del CNR.

Un libro che è il racconto di una esperienza di vita e, in qualche modo, di possibile rinascita che, da un lato, è progetto scientifico e di ricerca aderenti alla realtà e, dall’altro, esperimento sociale capace di dare risultati e frutti nel miglioramento della qualità della vita dei soggetti coinvolti, in questo caso anziani e migranti.

Dottoressa Cioppi, perché un simile progetto, fortemente innovativo, e perché in Sardegna?

Il progetto, sin dal principio, ha avuto due obiettivi: aprire un dialogo sulla complessità delle tematiche migratorie e rivolgere l’attenzione non solo al fenomeno delle migrazioni mediterranee contemporanee e agli attuali scenari sociali e culturali, ma all’analisi dell’impatto che tali flussi migratori hanno avuto sulla Sardegna trasformandola, data la sua posizione centrale nel Mediterraneo, in un osservatorio privilegiato. Il progetto ha attuato queste analisi grazie ad un approccio fortemente innovativo, basato sul confronto multidisciplinare e interdisciplinare, che ha visto la cooperazione e la sinergia di ricercatori CNR, docenti universitari, organi istituzionali, amministrazioni pubbliche, associazioni di categoria e operatori del terzo settore. L’importante sviluppo raggiunto in breve dal Progetto ha reso necessario l’affiancamento di una seconda fase pratica e formativa all’iniziale fase teorica, al fine di offrire attraverso una naturale continuità didattica e scientifica strumenti, pratiche, percorsi utili e forme di integrazione più inclusivi ed efficaci per l’attuazione di buone prassi sul territorio isolano. La Sardegna diventava, quindi, la base di partenza per un progetto pilota da estendere in campo nazionale. Nel procedere verso i suoi obiettivi iniziali e più evidenti, il progetto ha proseguito nell’impegno a diminuire le distanze tra gli studi di fattibilità dei ricercatori e il lavoro degli operatori del settore, in un’ottica di scambio di opinioni ed esperienze ma, soprattutto, di miglioramento delle professionalità, dei servizi e delle risposte ai bisogni. La “cultura” e la “coltura” dell’orto sono stati pensati come una proposta concreta di buona pratica da sottoporre agli operatori del sistema di accoglienza del territorio sardo per coinvolgere in maniera diretta le comunità dei migranti con le comunità territoriali. Il risultato è stato duplice: da un lato ha generato concretezza, grazie all’approccio della ricerca scientifica e alla sua ricaduta sul territorio, e dall’altro ha avviato i presupposti per una fattiva e valida cooperazione con gli organismi istituzionali, le amministrazioni pubbliche, gli enti e le associazioni di categoria.

 

Dottoressa Seu, in breve, quali sono state le fasi del progetto?

Il progetto, considerato pioniere, Da Sassari un orto in ogni comune, e inserito all’interno del progetto più ampio “Gli Horti nel tempo. Coltura e cultura degli orti nel segno delle civiltà e del cambiamento”, si è concretizzato lungo tre fasi principali:

  1. Individuazione della città di Sassari come caso studio. La città si è prestata alla realizzazione del progetto in quanto ha una lunga tradizione di orti urbani che si è tramandata sino ai giorni nostri con l’assegnazione da parte dell’amministrazione pubblica di lotti comunali in favore dei suoi cittadini per la coltivazione di orti. Grazie a questa antica tradizione orticola abbiamo avuto un forte riscontro da parte dell’amministrazione comunale che ha messo a disposizione del progetto un ampio orto incolto, all’interno della residenza per anziani chiamata Casa Serena.
  2. Una volta individuato il luogo dove realizzare l’orto, si è passati al coinvolgimento di alcune volontarie e volontari ospitati in un centro di accoglienza per migranti e di autoctoni esperti ortolani, che in sinergia hanno avviato la prima fase del progetto. La seconda fase ha visto la collaborazione dei docenti del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna, e dei ricercatori dell’IBE-CNR (Istituto per la BioEconomia di Bologna) i quali hanno avviato un Corso di formazione sul sistema degli orti, mettendo insieme le diverse esperienze presenti nel territorio cittadino, favorendo in questo modo l’incontro tra gli ospiti del CAS e i locali sassaresi.
  3. La terza e ultima fase del progetto ha visto la realizzazione dell’orto in cassette dove sono state coltivate diverse piantine aromatiche poi esposte durante il convegno che ha chiuso i lavori del progetto. In questa occasione tutti gli attori coinvolti hanno portato la loro testimonianza e i partecipanti al Corso di formazione hanno ricevuto un attestato di partecipazione.

 

Significativa, quindi, è la multidisciplinarietà di questo progetto (SEU). 

Si. Il felice connubio tra le scienze dure e le scienze umane esplicitato in questo progetto isolano è stato possibile grazie all’utilizzo del metodo multidisciplinare che ha contrassegnato l’insieme delle attività scientifiche svolte. Solo per citare un esempio, la fase progettuale è stata caratterizzata fortemente dalla parte storica. L’individuazione di un contesto cittadino con una forte tradizione orticola ha giovato notevolmente alla riuscita del progetto stesso, vieppiù i colleghi agronomi hanno reso possibile la creazione dell’orto nella sua versione in cassette, coniugando innovazione scientifica e tradizione. Il risultato è stato molto apprezzato sia dagli avvezzi ortolani sia da chi si approcciava per la prima volta alla pratica dell’orto. Significativa è stata la testimonianza di Angela Laconi, assistente sociale del centro di accoglienza straordinaria di Sassari, la quale ha visto nella pratica dell’orto un’opportunità lavorativa soprattutto per le donne che più degli uomini riscontrano maggiori difficoltà occupazionali.

 

Orto e migrazioni, nel libro vengono ricordate le similitudini con l’Italia degli anni Cinquanta, quella degli orti urbani. Uno spaccato forse poco conosciuto. (SEU) 

Possiamo constatare che sia il fenomeno delle migrazioni sia quello degli orti urbani sono da diverso tempo studiati secondo una metodologia multidisciplinare, la quale ha generato una nutrita serie di studi specialistici che vanno dalle scienze sociali alle cosiddette scienze dure. In tal senso il fenomeno degli orti urbani accostato alle migrazioni sta acquisendo sempre più interesse da parte della ricerca alla luce della riscoperta degli orti urbani nell’attualità. A questo riguardo si ricorda che, sul finire degli anni Settanta, fu il Ministero dell’Agricoltura a commissionare un’indagine all’Associazione Italia Nostra per capire l’entità di un fenomeno in crescita come quello degli orti urbani in numerose città quali Torino e Milano, a testimoniare la rilevanza che il fenomeno ebbe già nel passato. Fenomeno che, in breve tempo, sarebbe stato inglobato e coordinato dall’amministrazione pubblica attraverso la nascita di regolamenti e quindi di bandi pubblici per l’assegnazione degli orti, i quali avevano lo scopo precipuo di contenere l’abusivismo e lo spontaneismo di allora. Una gestione, quella pubblica, che ha permesso nuove forme attive di cittadinanza, attraverso la costruzione di reti di solidarietà, di vicinato e di cura del territorio considerato, a ragione, un bene comune.

 

Dottoressa Cioppi, esperienza sociale e culturale, cosa insegna l’orto?

L’orto è un maestro di vita. Come recita il titolo di questo volume l’orto è definibile “alimento dell’anima e del corpo” perché accompagna l’uomo sin da quando il suo mondo ha assunto connotazioni urbane e associa nel corso della sua storia una doppia vocazione: quella produttiva come fonte di sostentamento alimentare e quella culturale come rifugio dagli affanni quotidiani. L’orto, inoltre, può costituire un circuito virtuoso come strategia educativa e sociale: è una base eccellente per creare momenti di aggregazione, attuare opportunità di incontro, avvicinare il singolo al gruppo e viceversa. L’orto può costruire valori comunitari e di integrazione e stimolare la socializzazione degli abitanti di un territorio con i migranti che su di esso sono presenti, grazie alla condivisione di uno spazio e di un lavoro comune. L’orto può garantire la possibilità di autoprodursi ma anche di produrre per gli altri e attraverso lo scambio di competenze, esperienze, pratiche e tradizioni, può diventare un punto di forza per insegnare e tramandare un lavoro semplice ma complesso, che di giorno in giorno è in grado di svilupparsi e rinnovarsi costituendo un vero e proprio “laboratorio di ricerca”, fondamentale non solo per le scienze agrarie e bioagroalimentari ma anche per quelle sociali.

 

Quali ricadute in termini di impatto sociale ha avuto questa esperienza? (CIOPPI)

Il progetto ha visto, come già detto, la sua realizzazione in situ presso una Residenza per anziani, posta al centro della città di Sassari, una città che sa accogliere, aperta, con una comunità dal forte senso civico. L’aver scelto come luogo di azione il giardino di Casa Serena non è stato casuale. I giovani migranti, ospitati nei CAS del territorio sassarese, insieme ai cittadini, agli anziani residenti nella Casa di riposo e agli insegnanti del Corso, hanno dato vita a un orto condiviso nel quale si sono trasmesse esperienze e saperi di diverse generazioni, di differenti culture e tecniche semplici ma al contempo innovative, fra le quali la coltura in cassette. Un percorso dunque in cui formatori e formanti sono stati capaci di convertire la ricchezza didattica multidisciplinare del progetto in una grande esperienza umana non solo per le persone coinvolte nell’iniziativa ma per l’intero territorio nel quale si è svolta. E come nelle migliori “colture” e “culture” non sono mancati impegno, fatica e soddisfazione nel vedere i frutti del proprio lavoro, così come non è mancato un importante risultato di integrazione sociale e lavorativa costituito dall’attestato di idoneità alla pratica dell’orto che, consegnato a tutti gli allievi alla fine del Corso, potrà essere speso in termini di competenza lavorativa.

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