
Furio Cavallini ovvero il Crazy Horse di Bianciardi
Volume 17,10€
Informazioni tecniche
Descrizione
«Esiste un rapporto particolare tra letteratura e pittura. Era stato Charles Baudelaire a sottolineare il forte legame tra colore e parola, tra pittura e poesia affermando che “il vero artista, il vero poeta non deve dipingere che quello che vede e quello che sente”. Questa definizione può certamente riferirsi a due artisti come Cavallini e Bianciardi e alla loro quasi ventennale amicizia fatta di esperienze condivise, di frequentazioni, anche epistolari, della comune antipatia per la città dei “Torracchioni grigi” che non consente distrazioni se non al bar Jamaica, il caffè degli artisti e degli studenti di Brera
Gli incontri tra i due toscani, trapiantati nel capoluogo lombardo, nutrono la schietta intesa di due anime affini pur nella loro diversità; alimentano la loro arte, ma ancor più la loro antropologia estetica.
Si conoscono a Milano, dalla parti di Brera, un quartiere di provincia in mezzo alla città, nel 1954. Li unisce la conoscenza del mondo del lavoro, la miniera per Bianciardi e la fabbrica per Cavallini, operaio nella Milano del “miracolo economico”; l’aspra, corrosiva critica nei confronti del dissennato sviluppo che aliena e omologa; l’intuizione delle gravi conseguenze del consumismo: l’inquinamento certo, ma anche “l’egoismo di un mondo che chiama aziende gli ospedali” (Mario Dondero).
Cavallini sente la solitudine, il vuoto, la disperazione di un’umanità dolente che la società “dimentica”. Sceglie allora di allontanarsi dalla Milano borghese per recarsi nell’ex manicomio di Trieste dove recupera la vena creativa nel contatto quotidiano con gli umili, i “diversi”, gli emarginati, ritratti in disegni di forte impatto espressionistico.
Bianciardi si era trasferito a Milano spinto dall’indignazione e dal dolore causato dal disastro della Ribolla, dove erano morti 43 minatori tra i quali alcuni amici conosciuti durante l’inchiesta sulle condizioni di vita e di lavoro nella miniera, firmata con Carlo Cassola.
Rimane nel capoluogo lombardo, nonostante la sua avversione per le auto, per l’inquinamento, per i marciapiedi milanesi, resi emblematici dalla prima sequenza del film di Lizzani Vita agra tratto dall’omonimo libro dello scrittore.
Eppure Milano, città tanto odiata, non lo lascia andare, lo attira con il brusìo vitale che lo distrae da se stesso; lo richiama, dopo la permanenza a Rapallo vissuta come un esilio. Ma la “rabbia” si è ormai spenta.
Spiriti inquieti, anarchici, in molti aspetti dissimili, eppure accomunati dall’ossessione libertaria, ruvidi e schietti, mai appagati eppure costantemente coinvolti nell’impegno civile di “dare voce a chi non ce l’ha“ come amava ripetere Bianciardi. Un’amicizia la loro che la lontananza non attenua. Bianciardi così la descrive «Furio mi chiede che cosa ho scritto, io gli chiedo che cosa ha dipinto. Fra noi due, sono queste le parole che contano». E tanto basta.»
Cristina Renso — Direttore artistico Associazione Giuseppe e Gina Flangini
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