
Architettare n. 26
Circolare
Volume 10,00€
Descrizione
«Si dice che sia importante porsi le giuste domande per ottenere risposte esaurienti e soddisfacenti. E allora perché dobbiamo cambiare il modo di pensare alla città?
Il paesaggio urbano è il principale responsabile dell’impatto della specie umana sul pianeta e se vogliamo essere efficaci nelle scelte da qui a venire, è proprio lì che è urgente mettere mano.
Le città, infatti, non sono solo i luoghi dell’abitare, bensì dei potenti dispositivi creativi “per attivare il diverso presente ed esplorare il futuro possibile” (Carta 2021).
Steven Johnson dimostra come le città siano le fucine della creatività perché creano lo spazio dove le idee possono fondersi o scambiarsi dando origine a nuove forme. Incrementano la connettività, ovvero l’abilità di scambiare intuizioni di altre persone con le nostre creando qualcosa di nuovo o di diverso (Johnson 2014).
La città diventa, pertanto, contemporaneamente la causa, ma anche la soluzione del problema.
Partire dal perché adottiamo determinate scelte, è fondamentale per impostare visioni per una città di domani più solidale, pensata per le persone, attenta alle risorse disponibili e all’evoluzione del pianeta.
Perché è come penseremo le città di domani che condizionerà l’intero pianeta.
Entro il 2030, i 7,5 miliardi di persone che ora abitano la terra cresceranno di un miliardo, per arrivare a 9,8 miliardi nel 2050. E il 68%, più di due terzi, vivrà in città rendendo l’urbanizzazione una delle condizioni più trasformative del terzo millennio.
Si tratta di una trasformazione senza precedenti nella storia dell’Homo sapiens, considerando che l’umanità ha impiegato millenni per arrivare ai cinque miliardi di persone nel 1987 e in soli sessantatré anni si prevede il raddoppio degli abitanti.
Tuttavia, l’uomo è solo una delle specie abitanti il pianeta, tra le più fragili, e la sua fragilità lo ha condotto nei secoli a saccheggiare in modo esponenziale le risorse, gli spazi, i luoghi per difendere la stessa specie o le differenti realtà culturali e geografiche. Ora, quel disequilibrio che questi comportamenti hanno creato è il principale pericolo per la sopravvivenza stessa del genere umano…»
Andrea Rinaldi, direttore scientifico e curatore
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