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Un libro per riflettere sulla risoluzione del “conflitto”: un tema di grande attualità

25 Marzo 2022

 

📖  Cum-fligere & Cum-laborare. Breve manuale d’uso dei nostri conflitti di Nicola Naddi

 

La Guerra in Ucraina, una volta di più, sta dimostrando che questa umanità non ha ancora trovato i punti di congiunzione fra Cum-fligere e Cum-laborare. Occorre assolutamente ripensare e insegnare concettualmente e ontologicamente il conflitto e soprattutto munirsi di approcci di risoluzione che non siano potenzialmente dannosi o soltanto parziali e temporanei.

È questa la riflessione alla base di questo interessante “manuale” che si propone di aiutare a “fare pace” con il concetto di conflitto, a distinguere correttamente fra conflitto e risposta al conflitto, a imparare a tenere strettamente legati conflitto e relazione, a evitare approcci dannosi o parziali e temporanei di risoluzione del conflitto.

L’autore, Nicola Naddi, cerca di affrontare questi temi alla luce della sua esperienza di formazione e sviluppo del personale per aziende, multinazionali e organizzazioni internazionali presso le quali conduce workshop sulla risoluzione dei conflitti; tema a cui si è interessato fin dai tempi dell’università e che ha continuato a studiare e approfondire per tutta la sua vita.

 

Perché ha scelto di trattare e approfondire proprio questo tema?

Credo che l’educazione ricevuta in famiglia, dove sono stato stimolato a discutere di tutto fin da bambino, dove si è sempre parlato molto di politica, dove si è sempre viaggiato in lungo e in largo per conoscere altri paesi e culture, non potesse altro che avere una sua naturale prosecuzione e conseguenza nella mia scelta di studiare Scienze Politiche all’Università e, dopo il biennio comune (vecchio ordinamento), di scegliere l’indirizzo internazionale che inevitabilmente mi ha portato a trattare prima e ad approfondire poi il tema dei conflitti. Le mie esperienze professionali come esperto di diritti umani in Bosnia-Erzegovina, in Kosovo, in Albania, in Venezuela, in Sud Africa e in altre zone del mondo hanno stimolato ulteriormente il mio interesse verso il tema della risoluzione dei conflitti. Infine, anche le mie esperienze di formatore, consulente e business coach in grandi aziende italiane e multinazionali su questo tema come su altri temi quali la leadership, il lavoro di squadra, la gestione delle riunioni, che presentano sempre in un modo o nell’altro un qualche legame con la capacità di risolvere i conflitti, hanno aggiunto ancora altri apprendimenti e approfondimenti.

 

Il conflitto ha un ruolo importante nella crescita personale, giusto?

Sì, giusto… a pensarci bene noi siamo proprio il risultato dei nostri conflitti risolti o irrisolti. Il conflitto, o meglio la capacità di risolvere i nostri conflitti, può essere presa a misura del nostro stato evolutivo: meno litigo, meno mi azzuffo, meno faccio ricorso agli avvocati e più so risolvere autonomamente i miei conflitti in modo collaborativo, costruttivo e creativo, e più sono evoluto, e questo sia come singoli individui sia come collettività. L’unione Europea, pur con tutti i suoi difetti, è la misura, il risultato della capacità che questa parte di mondo ha avuto nel risolvere i propri conflitti in modo collaborativo e quindi evolutivo dopo due colossali fallimenti a distanza di pochi anni l’uno dall’altro che sono state le due guerre mondiali.

 

Che ruolo riveste il conflitto in una relazione?

Centrale. Non c’è relazione, anche la più positiva, che non s’imbatta prima o poi nel conflitto. E più la relazione è forte e maggiore saranno le probabilità che il conflitto venga risolto in maniera duratura e sostenibile e più il conflitto sarà risolto in maniera duratura e sostenibile e maggiore sarà il miglioramento e l’accrescimento della relazione: conflitto e relazione vanno strettamente a braccetto e non ci può essere risoluzione del conflitto se nella risoluzione del conflitto non c’è anche miglioramento del quadro relazionale più ampio dentro cui è inserito il conflitto.

 

“Cum” indica in entrambe le parole una condivisione, ovvero la necessità della presenza dell’altro: come trasformare dunque il cum-fligere in cum-laborare?

L’apparente paradosso del conflitto è che ho il conflitto a causa dell’altro (e ciò che ognuna delle due parti pensa dell’altra parte), ma posso avere la risoluzione del conflitto solo grazie alla collaborazione con l’altro (e ciò che bisogna sforzarci di capire e coltivare da entrambi le parti). Zelensky ha bisogno di Putin come Putin di Zelensky per risolvere il conflitto che Russia e Ucrania stanno allo stato attuale armando e che per questo motivo si trovano momentaneamente nel peggiore dei casi possibili del cum-fligere: la guerra. Ma ne potranno uscire solo se sapranno attivare un processo di “collaborazione nel conflitto”, fatto di una serie di ingredienti ben miscelati, che descrivo nel libro.

 

Quando “sale il livello”? Ovvero quando e come avviene il passaggio tra avere un problema e avere un conflitto?

Il problema unisce, il conflitto divide. Avere un problema nelle relazioni umane è uno stato desiderabile rispetto ad avere un conflitto proprio perché il problema non divide in partenza. Tuttavia, un problema affrontato male, una soluzione insoddisfacente a un problema, può comportare un salto di livello. Avere, ad esempio, un problema familiare può contribuire a cementare il senso di famiglia nel tentativo di risolverlo. È possibile fare squadra assieme per risolverlo in modo naturale e quasi spontaneo. Se, però, non riusciamo a risolverlo in modo apprezzabile, ci sarà il serio rischio e la forte probabilità che si trasformi in un conflitto. Alle volte, tuttavia, può accadere anche il contrario e cioè che un conflitto si trasformi in un problema, cioè scenda di livello. Se questo accade, vuol dire che abbiamo collaborato così efficacemente nel conflitto che ciò che prima ci divideva ora ci unisce: adesso, non ho più un conflitto con l’altra parte, ma abbiamo un problema ed è per questo che non troviamo niente di così strano nell’unire le nostre forze per risolverlo. Un esempio? Quando una coppia si separa e riesce, però, ad affrontare collaborativamente il conflitto che necessariamente quella separazione porta con sé quasi sempre. Se la coppia riesce a collaborare costruttivamente e creativamente per trovare soluzioni mutualmente benefiche alla separazione-conflitto, a un certo punto, non si troverà più di fronte a un conflitto bensì a un problema o una serie di problemi nella peggiore delle ipotesi (nella migliore, neanche quello: avrà semplicemente risolto il conflitto). In ogni caso, sarà come aver prodotto una magia perché si sarà comunque determinata una trasformazione del conflitto in qualche cos’altro che è una condizione migliore di quella di partenza.

 

Il tema del conflitto ha a che fare in qualche modo anche con la pandemia e con l’enorme cambiamento che ha comportato nelle vite di ciascuno di noi?

Sì, ce l’ha, anche se il rapporto fra pandemia, crisi sanitaria, conflittualità globale e conflittualità derivata è molto complesso. Nel libro, provo ad affrontarlo cercando di illustrare le complesse interconnessioni che alla fine ci pongono di fronte al classico interrogativo “viene prima l’uovo o la gallina?” Con la pandemia, siamo di fronte a una crisi sanitaria scaturita da un conflitto globale oppure siamo in presenza di una crisi sanitaria che sta dando vita a tutta una serie di conflitti? A prescindere dalla risposta che possiamo dare a questa domanda, non c’è dubbio che la pandemia ha originato diversi conflitti sia locali che globali a partire dalla famiglia dove, nei mesi passati, con lockdown più o meno restrittivi che hanno obbligato a spendere molto tempo fra le quattro mura di casa, si sono sviluppati conflitti “claustrofobici” relativi agli spazi e tempi domestici e a partire dal lavoro che per alcuni, con le pratiche di smart-working, è diventato pervasivo e non ha permesso più di distinguere fra vita lavorativa e vita privata a causa di accavallamenti e sovrapposizioni continue fra le due sfere. Tuttavia, questi sono “conflitti di lusso”, poca cosa di fronte ai conflitti sociali che, a causa di questa crisi, sono scoppiati con manifestazioni di rivolta di piazza di chi il lavoro lo ha perso del tutto o lo ha visto sospeso per periodi di tempo prolungati senza congrui indennizzi con la prospettiva di non riuscire più a ripartire in futuro. Ugualmente, questi nostri conflitti casalinghi causati dalla pandemia credo siano poca cosa se paragonati al conflitto sociale fra pro-vax e no-vax che investe il centrale e complesso tema delle libertà individuali e collettive (e non il tema della libertà tout court, bensì il tema o il conflitto socio-culturale dell’equilibrio e dell’integrazione fra libertà individuale e collettiva).

 

Il tema è purtroppo di grande attualità in questo momento anche per un altro motivo: possiamo trasportare questi concetti, validi per la sfera diciamo più individuale, anche a quello che sta accadendo a livello più ampio, tra Ucraina e Russia?

Assolutamente sì. Ogni conflitto ha la stessa dignità, cambia solo il livello di complessità. Adesso, non siamo più di fronte a un conflitto fra Russia e Ucraina, ma a un conflitto armato, abbiamo armato il conflitto, abbiamo trasformato il conflitto in guerra, e quest’ultima non può che produrre la spirale della violenza che oltre a migliaia di morti, milioni di rifugiati, scenari di distruzione e disperazione, aggiunge complessità alla complessità. Ma come finiscono le guerre? Invariabilmente, con un negoziato di pace… tutte. E allora, questa complessità può essere risolta solo accelerando il più possibile la via diplomatica al negoziato di pace, favorendo un’atmosfera di collaborazione, chiarendo le percezioni delle parti, generando opzioni e alternative, etc. In questo momento, l’aggressore Putin non vuole ancora sedere al tavolo del negoziato con l’aggredito Zelensky. Tutti gli sforzi della comunità internazionale devono, però, concentrarsi su questo punto: su come invitare Putin al tavolo del negoziato. Non ci aspettiamo che l’aggressore faccia passi nella direzione della collaborazione, ma possiamo invitarlo in un’atmosfera di collaborazione per cui si senta come risucchiato in un flusso positivo per cui alla fine accetti di collaborare. Purtroppo, il linguaggio e la comunicazione di Zelensky, soprattutto nella prima fase di questa guerra, è andata nella direzione opposta puntando su richieste quali la no-fly zone, l’entrata immediata dell’Ucraina nella UE, l’intervento della NATO che avrebbero portato a un ulteriore salto di livello nella spirale della violenza e su concetti quali la patria, la bandiera, i confini e l’identità nazional-nazionalista. “Se la pace è prima di tutto, non puoi basarsi solo su quello che è giusto o sui torti e sulle ragioni. Devi dare qualcosa di più di quel che dovresti dare.” diceva il Cardinal Martini. Mi sembra che Zelensky, dopo una prima fase fatta di dichiarazioni solo belligeranti, ora stia promuovendo un po’di più (ma non basta) la collaborazione e il confronto, insomma “stia dando qualcosa di più”, facendo cadere alcuni tabù come, ad esempio, la neutralità dell’Ucraina.

 

Alla luce della sua esperienza, quale potrebbe essere una chiave per gestire, auspicabilmente risolvere, questo genere di conflitti così complessi e così ampi?

Cambiare paradigma, praticare con convinzione e creatività l’utopia della non violenza, della resa immediata per aprire subito il tavolo dei negoziati. E se, a fronte dell’attacco criminale e assassino di Putin, proprio nel preciso istante in cui è stato sferrato il primo colpo, Zelensky avesse dichiarato che l’Ucraina non avrebbe risposto al fuoco e avesse messo tutte le sue energie fin da subito per promuovere un’atmosfera di collaborazione con la Russia? Perché l’uomo ha bisogno prima di provocare, con aggressione e resistenza armata, distruzione e morte per poi dialogare? Esistono casi in cui la resistenza non armata sia percorribile e più efficace della resistenza armata? Perché condanniamo la violenza, piangiamo le morti di innocenti bambini e però usiamo risposte che non hanno altro che il risultato di farci attorcigliare nella spirale della violenza e aumentare la perdita di vite umane? Lo facciamo in nome di principi e valori quali la sovranità territoriale, l’autodeterminazione dei popoli, la difesa della democrazia che siamo davvero sicuri vadano anteposti al valore della vita umana o ai principi della collaborazione e del dialogo? E perché ridurre tutto il dibattito intorno a questo conflitto armato fra Russia e Ucraina al conflitto dialettico fra pacifisti e non? Non si può più semplicemente confrontarci su quali percorsi, approcci e soluzioni alternative possono essere laicamente più efficaci senza doversi schierare da una parte o dall’altra? Certo, oramai, tutto è più complicato perché di fronte alla violenza si è di nuovo scelto di perseguire iniziali risposte schematiche, istintive, primordiali e… violente… e quindi, inefficaci.

 

C’è qualcosa che a suo parere ciascuno di noi, nel suo piccolo, può fare?

Certamente! Sono molte le cose che ognuno di noi può fare nel suo “piccolo”. La prima è “educarsi” continuamente e approfonditamente alla diversità, in quanto il conflitto non è altro che questo, cioè una diversità, ma più precisamente “una diversità a cui permettiamo di creare opposizione o senso di minaccia, una diversità scomposta che aspetta solo di essere ricomposta”. Più siamo pronti a entrare in dialogo con ciò che è a noi distante senza valutarlo e criminalizzarlo immediatamente e istintivamente, più abbiamo probabilità di riuscire a risolvere i nostri conflitti. Oggi, Putin ha commesso un crimine terribile, non c’è alcun dubbio, ma per risolvere questo conflitto dobbiamo, da un lato, condannare questo crimine in maniera estremamente chiara e forte, ma, dall’altro, non criminalizzare Putin, pur sapendo che è un autocrate che fa della forza e della violenza un suo modus operandi. Per risolvere questo conflitto, abbiamo “paradossalmente” proprio bisogno di Putin, abbiamo bisogno di comprendere le ragioni della sua diversità e attivare un processo di collaborazione per arrivare alla pace concentrandoci non sugli interessi, gli obiettivi, le aspettative bensì sui bisogni individuali e soprattutto comuni di entrambe le parti. L’altra scelta è solo la sconfitta e l’eliminazione militare di Putin… su cui non aggiungo altro…

 

Questo libro, appena uscito, sta già avendo ottimi riscontri, la prima presentazione sarà a Firenze, presso La libreria Pacini-Edifir, ha in programma altri eventi?

Sì, nei prossimi mesi dovrei fare altre presentazioni presso alcune delle principali librerie di Coop (a Milano, Bologna, Roma, Ravenna, Cesena, Livorno, etc.). Venerdì 25 marzo ho un passaggio in radio presso Radio Italia 5 e sperabilmente potrei farne un altro nella trasmissione di Radio 3, dedicata ai libri e alle idee, Fahrenheit. Poi, sto aspettando una risposta per una presentazione al salone del Libro di Torino.

 

 

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